I Robinson Italiani by Emilio Salgari

I Robinson Italiani by Emilio Salgari

autore:Emilio Salgari [Salgari, Emilio]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-29T11:30:52+00:00


CAPITOLO XX

Nuove scoperte

Quantunque l’abbondanza cominciasse già a regnare nella capanna,

possedendo essi ormai una grossa provvista di pane, un recinto fornito di selvaggina piccola e grossa, delle armi per procurarsene dell’altra, dei liquori e dello zucchero estratto dalle arenghe saccarifere e altro, i naufraghi, da persone previdenti, non s’arrestarono nei progressi, e il veneziano voleva dotare quella microscopica colonia di ben altre cose che ancora difettavano, e assicurare in caso di carestia dei viveri sufficienti a nutrirla per

lungo tempo.

Non avevano pel momento alcuna premura di visitare l’isola per accertarsi se era abitata o deserta, non potendo fabbricarsi una scialuppa finché non avessero trovato delle pietre adatte per arrotare la scure, che era ormai ridotta in uno stato miserando. Appena il marinaio si trovò in grado di camminare da solo, si dedicarono perciò a diversi lavori locali ritenuti urgenti.

Allargarono anzitutto il recinto, per separare gli animali; ingrandirono l’uccelliera, essendo aumentato considerevolmente il numero degli uccelli, perché il mozzo aveva raddoppiato la produzione del vischio estratto dalla giunta wan; poi si misero a dissodare un bel tratto di terreno, per piantare le patate dolci che avevano religiosamente conservato.

I due marinai si incaricarono delle coltivazioni. Il signor Albani invece si occupava a scorrazzare le foreste in compagnia dello Sciancatello, per cercare nuove piante utili che potessero essere di aiuto alla piccola colonia.

Le sue escursioni non erano improduttive, poiché tutte le sere ritornava alla capanna o con delle pianticelle, che si affrettava a piantare nel terreno dissodato, o con delle nuove frutta.

Aveva già scoperto altre patate dolci, certe specie di cipolle squisite, dei tuberi che somigliavano alle rape, e aveva portato parecchie frutta le d’artocarpo, di più specie: delle buâ mangha (artocarpus integrifolia), che sono di dimensioni enormi, pesando perfino sessanta chilogrammi; delle a buâ champandak, varietà più piccola, ma più dolce e più delicata; e dei tambul (artocarpus incisa o albero del pane).

Il bravo veneziano aveva fatto servire quella polpa giallastra cucinata nel forno, in pentola e sui carboni e l’aveva perfìno adoperata con molto successo nella preparazione di certi pasticci, ma una parte l’aveva messa in serbo, seppellendola entro buche scavate in terra, dopo averla avvolta entro foglie di banani. Così conservata, quella polpa diventava leggermente acida dopo un certo tempo, ma non sgradevole, e serviva a variare il solito pane.

Non era però ancora contento il brav’uomo. Mentre i suoi compagni, terminato il dissodamento del campicello, si occupavano scavando una profonda buca presso la sponda, volendo arricchirsi anche d’un vivaio di pesci, egli continuava a percorrere con accanimento le foreste per cercare degli alberi che riteneva indispensabili.

Un giorno, finalmente, i due marinai lo videro tornare al campo raggiante di gioia. Recava una specie di palla, grossa come la testa d’un fanciullo, coperta di filamenti duri e rossicci.

« Che cosa ci recate, signore! » chiese il marinaio.

« Ciò che cercavo con tanto accanimento », rispose il veneziano. «Ero certo di trovarla su quest’isola ».

« Mi pare che sia una noce di cocco, se non m’inganno ».

« Sì, è una noce di cocco, Enrico. Ho scoperto una cinquantina di piante ».



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